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EVANS GIL ORCHESTRA

LIVE AT UMBRIA JAZZ VOL.I - LE INDIMENTICABILI NOTTI DI S.FRANCESCO AL PRATO

Barcode: 8015948010013 / Cat: EUJ1001 / 1 CD / Label: EGEA

LA PUBBLICAZIONE DEI DUE VOLUMI DI REGISTRAZIONI DEL GRANDE ARRANGIATORE E BAND LEADER NEL MAGICO SCENARIO UMBRO CI OFFRE L’OPPORTUNITA’ PER UN RICORDO ACCORATO E PARTECIPE

...Non c’è stato un band leader negli ultimi cinquant’anni che abbia influenzato la musica afroamericana più di Gil Evans. E’ un fatto abbastanza curioso, visto che Evans non solo non era – per questioni di pigmentazione- un afroamericano nel senso stretto, ma perché non era neppure uno statunitense nel senso lato, visto che nacque a Toronto, in Canada nel 1912. Eppure questo uomo, pallido, magro, pieno di energie, elegante e colto, è riuscito a conquistare la fiducia e a farsi amare dai più grandi musicisti – e non solo jazz – del suo tempo, da Claude Thronhill, con il quale ha iniziato negli anni ’40, a Sting, con cui ha duettato alla fine degli ’80, passando ovviamente da Miles Davis. “Gil e io abbiamo cominciato a lavorare insieme – ricordava Davis all’inizio della sua celebre autobiografia riferendosi ai loro primi incontri nel 1948 – e tutto ci andava davvero bene.” Un libro in cui parla spesso di Evans e che conclude dicendo “penso che il mio migliore amico sia stato proprio Gil Evans”. E non è poco per chi ha sepre sostenuto con orgoglio e molte ragioni la superiorità della sua gente sui “bianchi”.

E una delle intuizioni più rigeneranti del “bianco Gil Evans é stata quella di trattare Jimi Hendrix, rocker meticcio, come un qualsiasi autore di standards jazzistici, alla stregua di Thelonius Monk o John Lewis; e questo prima che l’establishment musicale scoprisse il valore di “Purple Haze, composizione che poi il Kronos Quartet, per fare solo un esempio, ha equiparato alle opere di Philip Glass e di Conlon Nancarow. Intuizione che ancora una volta lo accomunava al fraterno amico Miles Davis, uno dei pochi – sia tra i rocker che tra i jazzisti – a presentarsi alle esequie del grande chitarrista di Seattle. Così, già nel 1974, Evans decise di affrontare il repertorio hendrixiano in un album che resterà fra i fondamentali della sua sterminata discografia, quel Plays The Music Of Jimi Hendrix in cui facevano bella mostra di sé, in una veste del tutto nuova, titoli come “Angel”, “Crosstown Traffic”, “Castles made of Sand”, “Foxy Lady”, “Up From The Skies”, “Voodoo Chile” e “Gypsy Eyes”.
E proprio con “Up From The Skies” si apre il primo cd di Live At Umbria Jazz, una serie di registrazioni che vedono finalmente la luce dopo anni di attesa. Per altro con “Stone Free” e “Little Wing” prosegue anche il volume due dello stesso titolo. Nelle note di copertina, ricordando le notti umbre del luglio del 1987, l’anno del celebre incontro perugino con Sting, notti che videro poi sotto un cielo di stelle a San Francesco al Prato questa serie di memorabili concerti, Paolo Occhiuto ricorda che la acustica era tutt’altro che perfetta. E allora è ancora più sorprendente ascoltare queste incisioni attese per 15 anni e che rivelano invece un suono pieno e scintillante, anche se in gran parte riconducibile alla formazione, quasi perfetta, di una band che l’estensore delle note ricorda non ha poi, purtroppo, inciso nulla. Nell’orchestra, che “s’insediò giusto davanti l’abside” come rievoca Occhiuto, c’erano, oltre ai parenti stretti, tra cui la moglie e il figlio Miles (inutile ricordare chi è il padrino di questo trombettista proveniente da così nobili lombi), Delmar Brown alla voce e tastiere, Mark Egan al basso elettrico, Danny Gottlieb alla batteria, Gil Goldstein alle tastiere, insieme a Peter Levin e ovviamente al titolare, e ancora George Adams al sax tenore e all voce, John Surman al baritono, Lew Soloff alla tromba e Urszula Dudziak alla voce. E’ vero, questo gotha del jazz non ha lasciato altre testimonianze, anche se con qualche minima differenza, formazioni simili si possono ascoltare in Bud And Bird del 1987 e Farewell del 1988. Certo è che, per l’occasione, l’atmosfera, il repertorio che si arricchisce anche di composizioni di Charles Mingus come “Orange Was The Colour Of Her Dress” o di Tony Williams come “There Comes a Time”, questi due cd sono davvero imperdibili per gli amanti delle orchestre di Gil Evans.
Perché nelle sue formazioni interraziali, multietniche e multiconfessionali sono passati i più grandi talenti della scena jazz mondiale e qualcuno, riportandone un’influenza definitiva, rimarrà per sempre un “musicista di Evans”. D’altra parte, il jazz stesso è cambiato grazie all’intelligenza artistica del canadese. In fondo è curioso pensare come Gil abbia concluso la sua vita terrena morendo in Messico, pochi mesi dopo queste incisioni, nel marzo del 1988, chiudendo idealmente e geograficamente la parentesi aperta in Canada e nella quale gli Stati Uniti sono stati il centro delle sue attenzioni, della sua opera, un luogo – non l’unico visto che sia l’Inghilterra, che il Giappone, che la stessa Italia, possono vantare diritti in questo senso – in cui si conserverà per sempre il ricordo e la musica di Gil Evans.

Luca Damiani









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